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Il datore di lavoro che minaccia licenziamento commette un reato. Lo ha stabilito la Cassazione

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Il proprietario di un’azienda che minaccia un dipendente di licenziarlo come elemento di pressione per ottenere qualcosa commette un reato e può essere denunciato.

Sono comprese a titolo esemplificativo le minacce di licenziamento come elemento di pressione per convincere un lavoratore a fare straordinari, per spingerlo ad accettare una paga più bassa di quella dovuta, o come ritorsione per qualche discussione tra titolare e dipendente.
A seconda dei casi, tali minacce possono costituire reato di minaccia o addirittura di estorsione, e il lavoratore ha la facoltà di denunciare il titolare ed esigere un risarcimento riuscendo però efficacemente a dimostrare la veridicità dei fatti.

Il reato di minaccia  scatta tutte le volte in cui il lavoratore viene intimorito di licenziamento e portato ad accettare tacitamente ciò che gli viene chiesto dall’alto, qualsiasi sia la richiesta . Minacciare il dipendente di licenziamento costituisce un abuso di potere, da parte del datore di lavoro, nei confronti del dipendente.

Questo è  quanto stabilisce la Cassazione con la sentenza numero 42336/16 del 6.10.2016. In questi casi il datore di lavoro viene sottoposto a processo penale, e se le accuse vengono dimostrate sarà condannato e tenuto a risarcire il danno provocato al lavoratore.
Come riferisce l’ ADICO (associazione difesa consumatori) sul proprio sito, c’è anche un’altra sentenza meno recente a riguardo che ha condannato un datore di lavoro al risarcimento verso un dipendente per aver commesso reato di minaccia.

<<E’ la sentenza 11891/10 con cui la Cassazione ha condannato un caporeparto che aveva minacciato di licenziare una dipendente che non aveva accettato di svolgere l’attività lavorativa fuori dal normale orario di servizio. Non solo. L’uomo aveva anche prospettato alla lavoratrice di assegnarla a lavori talmente stressanti che l’avrebbero indotta a dimettersi. Tutti elementi, questi, confermati dalle raccolte dichiarazioni testimoniali. La quinta sezione penale del Palazzaccio, poi, ha anche confermato la condanna dell’uomo al risarcimento danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.>>

Ci sono casi in cui però la minaccia può sconfinare addirittura in reato di estorsione.
Tale reato scatta quando la minaccia è finalizzata a trarre un ingiusto profitto ai danni del lavoratore.

Ciò è stabilito da un’altra sentenza della Cassazione anch’ essa recente, la numero 18727/2016, secondo la quale il reato di estorsione scatta quando un titolare, approfittando della crisi del mercato di lavoro e delle scarse possibilità di trovare lavoro che avrebbe il lavoratore se perdesse il posto, mediante minacce costringe quest’ ultimo ad accettare una retribuzione più bassa di quella dovuta, danneggiandolo economicamente

Un altro caso in cui scatta il reato di estorsione avviene con il classico fenomeno, purtroppo molto diffuso in Italia, della “dimissioni in bianco”, ovvero quando un titolare fa firmare al lavoratore un foglio di dimissioni in bianco (in modo che successivamente può apporre la data del licenziamento), con il quale può tenere sotto minaccia permanente quest’ ultimo intimandolo ad accettare qualsiasi cosa, pena la simulazione di volontarie dimissioni da parte del dipendente.

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